Luciano Bellosi: la ricerca come un prato fiorito
Arte, Asciano, FMStudies

Luciano Bellosi è stato uno storico dell’arte di prima grandezza: i suoi studi, dalla prosa scorrevole ma mai banale, sono ancora delle pietre miliari per le ricerche sull’arte senese (e non solo).
Nel piccolo grande mondo della storia dell’arte il nome di Luciano Bellosi (1936 – 2011) è a tutti familiare. Chi l’ha conosciuto da vicino è rimasto contagiato dai suoi ragionamenti pacati e profondi e dal suo sguardo indagatore, capace di leggere sotto la pelle delle cose.
Allievo fedele di Roberto Longhi, per cui nutriva un’ammirazione sconfinata, si laurea a Firenze nel 1963 con una tesi su Lorenzo Monaco (pittore tardogotico fiorentino). I suoi orizzonti, però, saranno ben presto allargati a tutta la pittura e la scultura italiana dal Duecento al Cinquecento.
Nato a Firenze, dopo una prima esperienza lavorativa presso la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici ha percorso tutta la carriera accademica a Siena. Qui, nel 1979 fu infatti chiamato a insegnare Storia dell’arte medievale dall’amico e compagno di studi Giovanni Previtali. Presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, dunque, Bellosi ha con passione formato generazioni di studiosi per tre decenni.
Luciano Bellosi: il metodo, le riviste, gli studi
Insieme, Bellosi e Previtali diedero vita a un laboratorio di studi storico-artistici, in cui l’insegnamento si intrecciava al rapporto diretto con le opere. Più di una generazione di storici dell’arte è stata profondamente segnata da quell’esperienza. I ragionamenti di Bellosi, infatti, non erano mai scontati e conquistavano per la capacità inimitabile di far parlare le opere stesse. Bellosi non si limitava a trasmettere ai suoi allievi un bagaglio di conoscenze. Li contagiava, invece, con la sua passione totalizzante, insegnando al tempo stesso un metodo rigoroso.
Di quella stagione, cui è legata anche la fondazione della rivista “Prospettiva”, furono figlie mostre memorabili, in cui parteciparono fianco a fianco professori e allievi: mostre didattiche, come quella su Jacopo della Quercia, del 1977, o altre davvero spettacolari, come Il Gotico a Siena (1982). A Bellosi si devono in seguito altre mostre molto meditate e al contempo di grande efficacia visiva, come quelle su “Francesco di Giorgio e il primo Rinascimento a Siena (1993)”, su “Masaccio e le origini del Rinascimento a San Giovanni Valdarno” (2002) e la grande mostra su “Duccio. Alle origini della pittura senese (2003)”.
Tra i grandi testi, bisogna citare anche la preziosa raccolta di saggi edita da Jaca Book dal titolo “Come un prato fiorito. Studi sull’arte tardogotica”.
Fra tutte, però, va ricordata “Pittura di luce. Giovanni di Francesco e l’arte fiorentina di metà Quattrocento”, allestita alla Casa Buonarroti di Firenze nel 1990. Con audacia e sapienza, infatti, quella piccola mostra nasceva con lo scopo di dimostrare un’idea storiografica nuova. Scopo, insomma, era l’individuazione di un filone alternativo della pittura fiorentina. Illuminare un momento artistico dove il disegno era subordinato alla luce e al colore. Un senso della pittura chiaro e primaverile, senza il quale non si spiegherebbe l’arte di Piero della Francesca.
Bellosi può essere considerato uno dei maggiori specialisti dell’opera di Giotto, Cimabue, Duccio di Boninsegna e Masaccio, nonché autore di nuove attribuzioni e fondamentali rivisitazioni.
Al piano terra di Palazzo Corboli ad Asciano si conservano alcuni frammenti di affresco con Storie della Passione provenienti dalla chiesa di San Lorenzo all’ex Convento di San Francesco. Grazie agli studi di Luciano Bellosi è stato possibile attribuirli al pennello di Jacopo di Mino del Pellicciaio. Un artista che, intorno alla metà del Trecento, si accostò con attenzione agli illustri predecessori quali Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini.
Rilevante anche il suo contributo sulla discussa identità del cosiddetto “Maestro dell’Osservanza”, che sempre a Palazzo Corboli è rappresentato attraverso uno dei suoi capolavori, la Natività della Vergine: a questo proposito vi invitiamo a leggerlo in una nostra pubblicazione che riunisce gli esiti di un convegno del 2005 in cui si radunarono i principali studiosi dell’argomento: Sano di Pietro. Qualità, devozione e pratica nella pittura senese del Quattrocento (disponibile sul nostro Amazon Shop).
Sulle tracce del “Maestro del Trionfo della Morte”
A Bellosi si deve inoltre l’attribuzione a Buonamico Buffalmacco, il celebre pittore burlone del Decameron, del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa, oggi largamente accettata dagli storici dell’arte.
Un primo passo di avvicinamento verso l’identità tra il “Maestro” e Buffalmacco avvenne grazie all’attribuzione a quest’ultimo di alcuni affreschi all’interno del Duomo di Arezzo. Per risolvere il nodo della datazione (tradizionalmente collocata dalla critica tra il 1350 e il 1360, quando Buffalmacco sarebbe morto entro il 1348), Bellosi condusse una colorata digressione sul vestiario riscontrabile nei dipinti di Buffalmacco rispetto alla moda della prima metà del XIV secolo, prendendo in esame altre opere, tra cui il Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini, il cui abbigliamento appare molto vicino a quello di uno dei tre giovani del “dialogo tra i vivi e i morti” situato nell’angolo in basso a sinistra degli affreschi pisani. In questo modo Bellosi giunse a circoscrivere la data dell’opera in un periodo compreso tra gli anni ’20 e ’40 del XIV secolo.
Il pioneristico saggio “Buffalmacco e il Trionfo della morte”, edito nel 1974 e vincitore del premio Viareggio per la saggistica, si impose come modello originalissimo per scrittura e metodo: agile e avvincente come un racconto e al tempo stesso densissimo di novità, questo libro rivelò la potente originalità dello studioso, dimostrando come l’analisi attenta della raffigurazione della moda potesse divenire strumento di inestimabile valore nella verifica filologica delle datazioni.
La capacità di Bellosi di comunicare al pubblico attraverso un autentico dialogo con le opere resta un insegnamento più che mai attuale. Forse, l’eredità più preziosa che ci abbia lasciato.
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