Lettera alla bambina con collana
M'ama, non m'ama, Arte, Colle di Val d'Elsa

M’ama, mon m’ama. Continua la corrispondenza con le opere dei musei senesi. Scrivi anche tu la tua lettera…
Ciao…
Dopo qualche mese di pensieri, mi decido a scriverti. Ho ripreso a pensarti, dopo anni, perché mettendo a posto ho ritrovato quella foto in cui tu non sorridevi e non guardavi. Eravamo andati ad una festa, o per meglio dire, ci eravamo imbucati, seguendo il nostro amico Dario, il temerario. Eravamo giovani, felici… o almeno riuscivamo ad esserlo? Ti eri messa quella specie di képi in testa, e facevi il muso perché ti facevo la foto. In verità ridevi spesso e volentieri, e la tua risata per me era come una canzone preferita, sentirla mi faceva stare bene. Ti eri messa quella collana di pietruzze, che faceva così estate, e forse ti annoiavi. In effetti non era la nostra migliore festa, ne abbiamo vissute di ben più memorabili. Era periodo di esami, cominciava a fare caldo, sapevamo che alla fine della sessione non ci saremmo visti per un paio di mesi, ognuno tornava a casa sua. Avevi i capelli tagliati corti, a caschetto, e mi divertivo a darti baci nel collo a sorpresa, cosa che detestavi. Chissà come li porti, oggi, i capelli? E se dei fili argentei si insinuano fra le ciocche?
Il tempo è una condanna, il ricordo di noi rende ancora più amaro il presente, se possibile. Eppure, non ci lasciammo bene. Ho sempre diffidato di quelli che si lasciano bene. Lasciarsi è un massacro. È aprire una ferita, che poi non lo sai quanto ci mette a guarire. Ne abbiamo avute altre, di storie, ma se ripenso alla nostra, credo che non sia durata quanto meritava. Eravamo piccoli, dico di testa, soprattutto io, e incontrarci era stato talmente semplice, che vivevamo la nostra storia con piena fiducia, senza preoccupazioni, se si eccettua quella di perdersi senza poi ritrovarsi. Avevo una paura matta di perderti, poi la paura è andata scemando, e alla fine ti ho perso per davvero. Chissà cosa insegni ai tuoi ragazzi, se insegni alle medie o alle superiori. Lo preparammo insieme il concorso, poi tu lo hai vinto, io non mi sono presentato. E continuo a barcamenarmi, fra microsupplenze e lezioni private.
Sarebbe bello incontrarsi per caso, ma vivendo lontano è abbastanza improbabile. Già che tu legga questa lettera non è scontato.
Non so dove abiti, quindi la manderò dai tuoi, come ho fatto altre volte. Non mi hai mai risposto, quindi non sono così sicuro che tu le abbia lette. Non so nemmeno a chi scrivo, se scrivo a te o alla ragazza nella foto. Nel percorso che ci porta all’età adulta può succedere di tutto, anche che facciamo a botte col nostro passato, e in un certo senso lo rinneghiamo, diventiamo altro. Non sto insinuando niente, sto solo scrivendo quello che mi passa per la testa, e tra l’altro me ne scuso. Ho sempre il brutto vizio di lanciare dei discorsi senza capo né coda, e se lo faccio anche in questa lettera, me ne scuso di nuovo.
Ti scrivo per celebrare quello che eravamo, che siamo stati, anche se per te forse non c’è niente da celebrare. E per augurarti il meglio, per tutto.
Ciao, stai bene…
Federico Lenzi
La risposta
Non so perché non sono sorpresa.
No, non ci si lascia mai senza dolore. Né mai il ricordo di quell’amore è senza un nostalgico rimpianto. L’amore più vero, quello che ti rimane sempre dentro, idealizzato. In questi anni molte e molte volte ho pensato a come sarebbe stata la mia vita, la nostra vita, se fossimo rimasti insieme. Specialmente nei periodi più difficili ti immaginavo al mio fianco, con la tua mano forte che sorreggeva il mio braccio.
Ma forti non lo eravamo. Non abbastanza da tenerci stretti. Oppure, semplicemente, avevamo un mondo da scoprire, altre strade che ci incuriosivano. Che poi quelle strade siano state impervi sentieri non potevamo certo saperlo.
Ti ho risposto molte volte con la mente a quelle tue lontane lettere, e con il cuore. Ho ancora la collana di pietruzze colorate e la metto d’estate pensando ogni volta a quella che sono. A quella che avrei potuto essere. Non ho più i capelli corti, a caschetto, che lasciavano scoperte le orecchie e che a te piacevano tanto. Sono lunghi, mossi, tutti dicono per spavalderia, io penso per nascondere meglio le tracce che il tempo ha lasciato sul mio volto.
Solchi di vita che parlano anche di te.
Perché l’assenza è la più forte delle presenze.
Ciao, amore, ciao…
L’opera
Walter Fusi, Bambina con collana | Colle Val d’Elsa, Museo San Pietro