Al Cappellone
M'ama, non m'ama, Archeologia, Murlo

M’ama, mon m’ama. Una nuova lettera d’amore per le opere dei musei senesi.
In che lingua scriverti? Non sono in grado di comporre una lettera per te nel tuo idioma. Ma confido che il tuo cuore sappia ugualmente mettersi in ascolto del mio. Quante domande vorrei porti. Qual è il tuo nome? Chi sei veramente, un uomo o un essere divino? Cosa vedono i tuoi occhi?
Fin da piccola il passato mi affascina. Ricostruirlo attraverso i frammenti giunti fino a noi è quello che avrei voluto fare nella vita. È andata diversamente, ma sono ancora convinta che questo sia il mio talento. Come era la tua dimora, come vivevate tu, la tua famiglia, la servitù; quali cibi e bevande, quale musica, quali libri, profumi, colori, animali, piante e fiori accompagnavano le vostre giornate. Quali segni sapevate cogliere in tutto ciò che ci circonda e che noi non siamo più in grado di percepire. Quale sapienza antica conoscevate che noi abbiamo dimenticato.
Differenti da noi e al contempo uguali, animati da sentimenti simili ai nostri, con i sogni e le aspirazioni, le fatiche e le speranze, le gioie e i dolori degli esseri umani di ogni tempo e luogo. Mi intriga molto il tuo grande cappello. Per i cappelli ho una vera predilezione, in ogni stagione, un vezzo che suscita nei miei confronti l’ilarità di quelli che la testa non la coprono mai, né quando è freddo né quando il sole picchia. Come mi starebbe un copricapo da donna di foggia etrusca? Quasi sempre fuori posto in questo tempo, mi sarei sentita a casa nel tuo.
Alessandra Lazzeretti
La risposta
Ho riletto più volte la tua lettera cara Alessandra, e l’ho trovata carica di energia e curiosità.
Quanto è importante la strada da cui proveniamo, non è vero? Il fascino di conoscere il passato, le proprie origini, la casa vissuta da perfetti sconosciuti.
E la fantasia.
Innanzitutto, ci vuole immaginazione e sapersi proiettare “senza” la dimensione dell’oggi: il mondo cambia e con esso l’umanità tutta. Un percorso che va percepito, prima di ogni cosa, sotta la pelle. Proprio così: l’empatia è alla base di ogni ricerca; sentire l’altro anche quando non “è” più da secoli o che, forse, non è mai stato nella dimensione umana.
Dall’alto si vede lontano, ma si perdono i dettagli: dimmi piuttosto di te. In che modo coltivi oggi una passione che non hai potuto alimentare come avresti voluto?
Dove vivi? Quante volte mi vieni a trovare?
Sei innamorata?
Qual è il tuo cappello preferito? Il mio l’ho ancora indosso. La testa va preservata – come il cuore – dal caldo, dal freddo, dagli stolti, dal senso di impotenza contro il divenire, dalle delusioni. Siamo tutti frammenti, schegge che impazziscono di fronte all’inadeguatezza dei tempi. Ma io, per te, ci sarò sempre. Ti accoglierò nella dimora che tu immagini possa essere la mia, terrena o divina; ti parlerò nella lingua che preferirai.
Penserò al fiore da regalarti lasciandoti qualcosa da bere e uno spazio in cui pensare.
Solo tuo.
L’opera

Acroterio maschile “Il Cappellone” | Murlo, Museo Archeologico